Avete mai sentito parlare di Ted Bundy, il serial killer più spietato d’America? No? Neppure io fino a qualche settimana fa, e per ignoranza mi stavo perdendo il caso di una perfetta strategia criminale.
Theodore Robert Bundy è stato uno dei più geniali manipolatori mediatici di tutti i tempi, ma soprattutto uno psicopatico che assassinò quasi cinquanta giovani donne dallo Utah alla Florida in modo insospettabile. Spietato, privo di pentimento e sociopatico, probabilmente i disturbi mentali di Bundy furono dovuti già alla sua infanzia complicata: nato a Burlington nel 1946 in un istituto per madri non sposate, passò i primi anni della sua vita credendo di essere il fratello minore della madre, e presentando i suoi nonni come i suoi genitori. Anche il nonno-genitore contribuì a dargli un’infanzia difficile, infatti fu un uomo violento, sadico e razzista, tanto che la moglie si prestava a frequenti elettroshock per curare la sua depressione. Ted scoprì tutta la verità sulla sua “apparente famiglia” solo nel 1969, quando iniziò anche a sviluppare la sua ossessione per le donne e a manifestare i primi segnali di disagio nell’instaurare rapporti sociali.
Diretto da Joe Berlinger e tratto dal libro di memorie di Elizabeth Kloepfer (unica donna “amata” da Ted Bundy), il film biografico è uscito al cinema il 9 maggio e ha creato tanto hype soprattutto per il cast particolare: Zac Efron nei panni del killer protagonista, Lily Collins in quelli di Liza Kloepfer, Haley J. Osment, Kaya Scodelario, Jim Parsons.
Questo hype ha entusiasmato o deluso il pubblico? Dipende dalle aspettative!
Il film è sviluppato in climax ascendente: cioè, partendo dall’incontro di Ted e Liza, vanno a incastrarsi tutti gli avvenimenti e gli assassinii in ordine, fino a giungere alla sudata pena di morte di Bundy. Non è un documentario, non è un horror, è semplicemente un film biografico molto romanzato che non si concentra tanto su come e perchè Bundy abbia commesso quei crimini, ma come abbia fatto a mentire ad un’intera nazione e, soprattutto, alla persona che diceva di amare.
Il titolo originale inglese è “Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile”, titolo che cita le parole del giudice della Florida Edward Judge D. Cowart, parole che disse in sede giuridica poco prima di condannarlo a morte sulla sedia elettrica:
“Take care of yourself, young man. I say that to you sincerely; take care of yourself, please. It is an utter tragedy for this court to see such a total waste of humanity as I’ve experienced in this courtroom. You’re a bright young man. You would have made a good lawyer and I would have loved to have you practice in front of me, but you went another way, partner. Take care of yourself. I don’t feel any animosity toward you. I want you to know that. Once again, take care of yourself.”
“Si prenda cura di se stesso, figliolo. Glielo dico sul serio, si prenda cura di se stesso. È una tragedia per questa corte vedere una tale totale assenza di umanità come quella che ho visto in questo tribunale. Lei è un uomo giovane e brillante, avrebbe potuto essere un buon avvocato. Avrei voluto vederla in azione, ma lei si è presentato dalla parte sbagliata. Si prenda cura di lei. Non ho nessun malanimo contro di lei. Voglio solo che lo sappia. Si prenda cura di se stesso”
In Italia, invece, si è preferito il titolo “Fascino criminale”, come mai? Probabilmente perché l’intera storia è filtrata principalmente dagli occhi di Liza, ma anche da tutta la generazione femminile che in quegli anni si fece ammaliare dal prezioso carisma e fascino di Bundy, tanto da far durare i suoi processi anni e anni prima di condannarlo.
Bundy fu giustiziato nel 1989 all’età di 42 anni, e dopo trent’anni sopravvive ancora la sua macabra storia come un mito della criminologia.
Il regista Joe Berlinger ha studiato tutti i documenti scritti e visivi disponibili, carte processuali, testimonianze video e audio, testimonianze dei conoscenti e delle donne sopravvissute al suo femminicidio. Tant’è che Ted Bundy- Fascino criminale non è il primo lavoro su Bundy di Berlinger. Infatti, quest’anno Netflix ha reso disponibile sulla sua piattaforma la miniserie Conversazioni con un killer: Il caso Bundy, un vero e proprio documentario televisivo di Berlinger che riporta i documenti studiati dal regista con la relativa analisi del caso.
E non solo, sul caso Bundy uscì anche un altro film nel 2002 (Ted Bundy movie).
In poche parole, Bundy non solo riuscì ad attirare l’attenzione sul suo caso negli anni ’70, ma riesce ancora oggi ad affascinare e ad incuriosire gli amanti del genere che continuano a elaborare la sua storia nelle più disparate sfumature.
Tutte le diverse rivisitazioni viste negli anni, dai documentari ai film thriller/horror, hanno portato a quest’ultimo film che si discosta anni luce da tutto quello che è stato presentato finora. E’ diverso perché tutta l’epopea giudiziaria di Ted, le evasioni, le strategie, le scene teatrali in tribunale, le dimostrazioni di amore eterno per Liza, tutto l’intero film è raccontato secondo il vissuto della Kloepfer. Quasi come se con il suo racconto la donna stesse esorcizzando il ricordo di un amore che l’ha portata alla dannazione.
Che le vittime venivano violentate, uccise, deturpate e, in alcuni casi, decapitate, nel film non c’è altro che un accenno di qualche secondo. Tutto il macabro e l’insano viene messo da parte per lasciar spazio a delle scene che creano confusione, perché seguono il flusso di coscienza di Lisa.
Un’idea interessante che però altro non fa che allontare il pubblico da un ovvio e morale disgusto per il criminale, ma anzi, a tratti ci si fa ammaliare dalla strategia brillante che utilizza Bundy per confermarsi innocente. Bundy fu uno dei primi, o forse l’unico, criminale a presentarsi come avvocato difensore di se stesso in tribunale. Fu il primo criminale a volere delle telecamere durante i processi e a negare SEMPRE con fermezza tutti gli omicidi di cui era accusato e di cui si avevano delle prove inconfutabili.
Bundy iniziò a confessare alcune delle sue vittime solo dopo la sua condanna a morte, per temporeggiare prima di essere giustiziato. Ad ogni modo, probabilmente veramente pentito non lo fu mai.
La scelta di Zac Efron nei panni di Bundy è stata super criticata. Questo non per la cattiva recitazione dell’attore (anzi, è indiscusso il talento dell’intero cast), ma piuttosto per il bell’aspetto di Efron. E’ vero che Ted ammaliò l’intera America, ma non ci riuscì per il suo aspetto fisico ma per il talento dell’eloquenza. Il punto forte di Efron è senz’altro la sua bellezza, però il vero Bundy puntò su tutt’altro.
Quindi nonostante Efron abbia dato il suo meglio, mettendo a frutto lo studio ricavato dai documenti visivi (un po’ come quello fatto da Rami Malek in Bohemian Rhapsody), ha reso invano la principale dote di Bundy.
Il ruolo più difficile lo ha avuto sicuramente Lily Collins che ha reso al meglio l’autodistruzione del personaggio femminile di Liza. Un personaggio complesso che nasconde un colpo di scena con tanti interrogativi.
A me è piaciuto, mi ha suscitato un’enorme curiosità e ho ricercato Bundy leggendo ogni biografia e articolo di giornale presente online. Non è certo un film completo, nè un film che va visto da solo. E’ un film che va interpretato e va studiato.
Quando le luci sono state riaccese in sala, sono rimasta con tutte le mie domande tra le mani:
- Perché Ted Bundy ha ucciso tutte quelle donne?
- Perché nessuna persona a lui vicina ha compreso ciò che stava accadendo?
- Perché non ha ucciso Liza e/o sua figlia?