Partenopeo, classe ’99 e artista poliedrico: Luca D’Agostino, in arte Scirocco
Partenopeo, classe ’99 e artista poliedrico: tre semplici caratteristiche per presentare un interessante talento emergente dal carattere (indie)pendente. Scirocco, nome d’arte di Luca D’Agostino, è riuscito in questi giorni anche a conquistare la radio locale con il suo ultimo pezzo MINE.
Conosciamolo meglio insieme con questa intervista.
N.b. Qui da qualche parte c’è lo spoiler del suo prossimo pezzo, titolo e data di uscita. L’hai trovato?
1. Iniziamo con una domanda banalissima ma doverosa: perché hai scelto come nome d’arte “Scirocco”? Nasce totalmente a caso. Mi piaceva il suono. Ma ogni storia vera ha bisogno di essere abbellita di un po’ di fantasia, no? Quindi un giorno parlando con un mio amico sono giunto ad una interpretazione a posteriori – parlavamo del cavalcare l’onda ed io mi sono detto: non vorrei mai essere una tavola da surf. Da qui nasce il vero senso del nome d’arte: il vento crea l’onda, e lo Scirocco è il vento del Sud Ovest. Per di più un omaggio doveroso alla mia terra.
2. “Mercoledì”, “La lattuga”, “A casa di chi”, “MINE”: Di cosa parlano e cosa accomuna questi tuoi primi quattro brani?
Parlano un po’ tutte d’amore, anche se in modi diversi. Sembrerà comune e banale ma d’altronde lo grida Brunori Sas in una sua canzone: “[…] amore, perchè alla fine, dai, di che altro vuoi parlare?”. L’amore è una storia larga, enorme. E inoltre qualcuno (D’Avenia) diceva che ogni storia è una storia d’amore.
3. Se tu potessi scegliere solo un verso tratto dai tuoi brani, quale sarebbe? “Le rose fanno più male perché sono belle che perché sono spinose”. Un verso di “A casa di chi” che alcuni hanno notato, altri no, e farlo notare mi diverte sempre. Non sono mai autocelebrativo, anzi, forse sono il mio peggior detrattore, ma questo verso mi accarezza e mi fa male. È la storia di ogni mio giorno a contatto con le cose e le persone, a partire dai sogni ad essi legati: fanno più male perché sono brillanti che perché sono lontani.
4. Perché il minutaggio di tutti i tuoi brani è caratterizzato dal numero 3? Un caso o è voluto? Credo molto nei numeri. Non è tanto scaramanzia, più una concessione di fede. Sono molto affezionato ai numeri primi grazie a Paolo Giordano, e alla geometria delle cose grazie a Wes Anderson.
5. Come hai capito che la musica è per te il miglior mezzo di comunicazione? Cosa vuoi comunicare a chi ti ascolta? Non l’ho mai capito. Forse è la musica che ha capito me. Sembra un po’ retorico ma è stato tutto straordinariamente spontaneo e non potrei pensarla diversamente.
Cosa mi piacerebbe comunicare invece è un segreto che lascio allo spazio dell’immaginazione.
6. Quali sono le tue fonti di ispirazione? Quali i personaggi della musica che sono stati incisivi per la tua formazione? Tutto parte da Yann Tiersen. Anzi anzi, da “Il favoloso mondo di Amelie”, un film francese che mi ha fatto scoprire Yann Tiersen e la musica neoclassica. Cominciai ad amare quell’uomo, e l’amore platonico non è mai privo dell’insano senso di emulazione a cui è legato a doppio, triplo, quadruplo filo. Così ho iniziato a comporre al pianoforte e da lì in poi è stato tutto un divenire di conseguenze.
7. Settimane fa hai annunciato su Instagram che MINE è in Indie Italia su Spotify. Te lo aspettavi? Perché senti più tua la musica Indie rispetto agli altri generi musicali? Non mi aspettavo proprio un bel niente. Straordinario quanto le teste da mulo possano trainare le cose. Da qualche giorno è anche nella top 50 dei brani più ascoltati in Italia e io sto ancora cercando di collegare i fili. Sull’Indie, invece, lo sento vicino perché è vero, è concreto e senza mezzi termini. E io adoro l’onestà nella musica.
8. Compositore, cantautore e con anche un passato da attore. Quanto ti ha formato il teatro e come influenza oggi (se lo fa) la tua musica? Tanto, tanto e ancora tanto. Nell’approccio alle persone, alle situazioni, nell’accettazione di me stesso (un lavoro continuo) e dei miei particolari. Non fosse stato per il teatro non sarei mai stato in grado di accettare e provare a dare valore alla mia voce.
9. Qual è oggi il tuo rapporto con il teatro? Puoi raccontarci il miglior ricordo che hai? Adoro l’arte scenica. Ma vivo tutt’oggi un rapporto conflittuale con la mia presenza sulla scena. Tuttavia ricordo con piacere le ore trascorse coi miei compagni di teatro, molti dei quali mi accompagnano tutt’oggi. Il mio migliore amico l’ho incontrato lì.
10. Al momento è possibile trovare la tua musica sul tuo profilo Spotify e YouTube, ed in più utilizzi molto Instagram. Come mai non hai scelto di promuoverti anche su social come Facebook, Twitter, e soprattutto, Tiktok? Che rapporto hai con i social e cosa cambieresti di questi?
Sto cercando di oppormi con tenacia alla mia natura intrinseca di boomer. Ma presto, quando ne troverò la forza, approderò ovunque. I social sono un veicolo necessario per l’auto-promozione, forse, ad oggi, il modo più efficace di farsi ascoltare. Dei social non cambierei un bel niente, della società (di cui i social sono lo specchio) quasi tutto.
11. C’è un libro a cui sei legato particolarmente? E perché? Il mio libro preferito da che abbia memoria è sempre stato “La luna e i falò”, di Cesare Pavese. Da qualche mese, però, ho nel cuore inamovibile l’ultimo romanzo di Sandro Veronesi: “Il Colibrì”. Se volete farvi del bene leggetelo con cura.
12. Se domani potessi scegliere di prendere parte ad un film, quale sarebbe? E in che ruolo? Probabilmente mi sentirei molto più a mio agio nei panni del regista. Dietro le quinte, cheto, silenzioso, ma presente più di tutti. Mi affascina molto questa prospettiva.
13. Qual è il tuo sogno nel cassetto e cosa ti aspetti dal futuro? Stare bene. Qualunque sia la strada che mi ci conduca. Poco ma tanto, tanto, tanto.
Grazie di cuore per questa opportunità. Un caro saluto ai lettori di Zairaf.